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EXURSUS DEL PROCESSO EVOLUTIVO DELLA CITTA' DI TIVOLI
Una fertile vallata, terrazzamenti panoramici ed un clima particolarmente favorevole, fu il contesto in cui si trovarono quei primi insediamenti umani che si attestarono su di un promontorio dei monti Tiburtini abbracciato dal fiume Aniene, ad est di Roma. Sarà nella storia proprio il fiume l’ elemento unificante e determinante per la vita della città, per la formazione successiva del tessuto edilizio e per lo sviluppo dell’economia urbana.
Inizialmente l’area dislocata tra le gole del fiume fu interessata da quel fenomeno definito "transumanza", cioè dal transito dei pastori che dall’Abruzzo si spostavano verso i fertili pascoli dell’agro romano.
In seguito, villaggi, costituiti da capanne, forse, a pianta circolare ed ovoidale, ma senza alcuna difesa, sorsero sui crinali e sui terrazzamenti.
Del più antico di questi villaggi (Aefula) furono ritrovate tracce sul Monte S.Angelo. Presenze di grotte (Grotta Polesini a Ponte Lucano) e resti di necropoli si fanno risalire al I° millennio a.C. (vedi Tav. n°1).
Il territorio era interessato da una economia pastorale e boschiva, successivamente, quando dal nomadismo si passò alla stanzialità, si sviluppò anche l’agricoltura. Caratteristico della formazione del primo centro abitato fu l’accentramento in un unico sito della popolazione sparsa per le campagne e per i crinali (sinecismo).
Tra il V° e il III° sec. a.C. un primo nucleo, configurabile come struttura urbana, si attestò sul promontorio attualmente identificabile con la contrada Castrovetere.
Era l’Acropoli Sacra, villaggio probabilmente composto da edifici a pianta rettangolare e fortificato.
La mancanza di resti consistenti e di informazioni specifiche non permette una precisa ricostruzione né dell’impianto urbano originale, né del perimetro e della consistenza della cinta muraria.
Poiché Tivoli non ebbe mai una conformazione urbanistica regolare, anzi, lo sviluppo fu del tipo "a formazione spontanea", anche se mantenne sempre delle direttrici fondamentali di espansione, è necessario premettere che la gran parte delle informazioni relative alla storia urbana di questa città, almeno fino ai primi secoli d.C., sono per lo più supposizioni, ipotesi non sempre dimostrabili proprio per la carenza di dati certi e supporti confrontabili.
Molte sono le congetture sulla formazione di questo primo insediamento, databile forse al 1215 a.C., che assunse il nome di Tibur da Teba o Teiba: "colle" o "luogo elevato" o "città costruita sul colle".
Con la progressiva espansione di Tibur, andò emergendo sempre più quel tracciato che partendo da Roma, attraversando la campagna verso est, affiancandosi all’Acropoli e proseguendo verso l’area sabina, fu poi chiamato Via Tiburtina Valeria e che divenne non solo una direttrice fondamentale tra il territorio latino e l’Abruzzo, ma, insieme all’Aniene, un asse generatore per la crescita ed il successivo sviluppo del tessuto urbano.
Dal III° sec. a.C. si può individuare la fase romana. E’ in questo periodo che si può collocare un consistente cambiamento: fervono i rapporti con le popolazioni limitrofe, nel territorio si determina un incremento demografico, le vie di comunicazione si estendono e si ampliano, si incrementano traffici e commerci con quei villaggi con cui Tibur fonderà, in seguito, la Lega Latina per sottrarsi al dominio di Roma. E’ l’inizio di una espansione che si fermerà solo verso il IV° sec. d.C.
Si conforma il Primo insediamento pianificato secondo i canoni delle città greche, con maglia geometrica ortogonale, "cardo e decumano". Tale impianto, di circa 240 per 400 piedi è stato individuato nell’area del Rione S. Paolo, tra Piazza del Seminario e Piazza delle Erbe. I tracciati principali (le attuali Via della Scalinata-Via S. Paolo, vicolo del Duomo-Via Platone Tiburtino ortogonali a Via del Seminario e a Via Teobaldi) erano compresi all’interno della Prima cinta urbana, non databile, fornita di porte, si presume, su tutti i fronti, e comprendevano un tessuto edilizio regolare, quasi un Piano Regolatore di dimensioni talmente minime da considerarlo unico nella cultura urbanistica dell’antichità (vedi Tav. n°2-3).
Tra il II° ed il I° sec. a.C. si può assistere ad un rinnovamento edilizio: viene ampliata tutta l’area dell’ Acropoli di circa 10 metri su tutto il perimetro e sostenuta da mura in opus quadratum con sostruzioni arcuate cieche e ambienti in opus incertum di calcare, furono costruiti il Tempio di Vesta, a pianta rotonda con colonne di ordine corinzio ed il Tempio della Sibilla a pianta rettangolare in stile ionico.
Andò sviluppandosi l’area situata intorno all’attuale Duomo (al di sotto furono rinvenuti resti di un grosso edificio di tipo Basilicale) ed a Via Postera strutturatasi anch’essa secondo un tracciato ortogonale e detto Foro, probabilmente centro commerciale ed amministrativo, che si dilatò a sud, sempre in zona Postera, e a nord, nella zona di Piazza Tani, fuori dalle mura, con edifici configurati in un tessuto "a crescita spontanea", denominato Exquiliae.
Si definisce il tracciato della seconda cinta urbana intorno al I° sec. a.C.
L’accesso avveniva da Via del Colle, cioè da Porta Maggiore (Porta Major), piegavano su Via Postera, proseguivano fino a Piazza dell’Annunziata, ripiegavano passando per Piazza del Governo e proseguendo parallelamente al fiume, inglobavano l’Acropoli quindi, scendevano per Via S. Valerio e si ricongiungevano alla Porta Maggiore (vedi Tav. n°4).
Tivoli occupava una posizione strategica sul territorio e, per questa ragione, ma anche per abilità, seppe, quasi sempre, gestire con diplomazia e, talora, fantasia la propria autonomia intervallando tuttavia periodi di contrasto e di sottomissione alla politica romana, prima, e a quella pontificia poi. Quale componente della Lega Latina per diverso tempo riuscì a sottrarsi all’egemonia di Roma che nonostante ciò riuscì a gestirla come fortificazione a controllo del territorio e punto di rifornimento.
Alla fine del I° sec. a.C. si verificò la massima espansione sia dal punto di vista demografico che urbanistico: fu costruito il santuario di Ercole Vincitore, edificio monumentale di forma quadrata; fu sistemata Piazza Tani con la realizzazione di sostruzioni a doppio criptoportico, eseguite in opus incertumMercato lungo oltre 60 metri, e pareti esterne modulate da una serie di archi; fu realizzato un edificio, il coperto ( forse adibito a tale funzione, di 35 per 11,50 metri, con due vani rettangolari e tre grosse nicchie) quale ampliamento all’area forense ed insieme sostegno al forte pendio della collina; si verificò una espansione a sud nella zona di Via del Trevio, Via dei Sosii e Via Maggiore; furono realizzati acquedotti, le Terme, l’Anfiteatro e numerose Ville.
L’accesso alla terza cinta urbana avveniva sempre da Via del Colle, le mura piegavano lungo Via di Postera fino alla Posterula, detta nel medioevo di S. Pantaleone (le Posterule erano sistemate all’estremità di un asse stradale antico), proseguivano lungo Via Campitelli, Via della Carità (qui si trovava un’altra Posterula che grazie a Via del Tartaro collegava la città con la Valle Gaudente) fino a Piazza dell’Annunziata dove si apriva una Porta in corrispondenza di Via della Missione. Ricalcando il tracciato precedente, attraversavano Piazza del Governo, Via Palatina, su cui si apriva un’altra Porta, quindi si dirigevano verso il fiume, costeggiavano Vicolo dei Granai fino a Piazza Rivarola dove si presume esistesse un’altra Porta, attraversavano la piazza ed inglobavano l’Acropoli con la Porta Variana ed un’altra Posterula di collegamento con la zona di "Inter duos Ludos". Proseguivano per Via di S. Valerio fino alla Piazzetta di Vesta, e qui si trovava la Posterula di Vesta, cingevano il Riserraglio e Piazza Tani con la Porta Exquilia. Si richiudevano quindi su Via del Colle (vedi Tav. n°5).
La cinta muraria, il cui perimetro era di 1800 metri, fu realizzata con tecniche e materiali differenti a seconda delle esigenze difensive. All’inizio del tracciato si individua una muratura in opus quadratum di tufo con blocchi disposti a testa e taglio, realizzata sempre in tufo anche su Via Palatina mentre tra Vicolo dei Granai e Piazza Rivarola esistono testimonianze in tufo e travertino. Lungo il Colle rimangono tracce di mura dell’età repubblicana, realizzate in opus incertum, ed affiancati sono stati rinvenuti resti di ambienti posizionati all’esterno. Nei tratti difesi naturalmente venivano usati blocchi di "testina" in travertino. Sicuramente impreciso il tracciato e altrettanto imprecisa la datazione.
Da non sottovalutare l’ipotesi del Giuliani che contempla l’esistenza di un’unica cinta muraria realizzata tra il V° ed il IV° sec. a.C.
All’interno la struttura urbana era caratterizzata dalla formazione di un tessuto complesso costituito da "Tabernae" e da "Insulae". La prima faceva riferimento alla presenza di un corpo, "Taberna", stalla o cantina con porta centrale sulla strada che, di pertinenza della domus, andò in seguito elevandosi e trasformandosi fino a formare un edificio a schiera, servito da una scala esterna, con residenza ai piani superiori e locale adibito al commercio al piano terra. La seconda, o "Insula", si conformò per la penetrazione di un percorso all’interno del cortile della domus circondato da abitazioni generalmente a più piani con affaccio ed ingresso rivolti verso la corte.
Giungendo dalla Via Tiburtina le prime immagini di Tibur venivano rappresentate dal monumentale Tempio d’Ercole, dai criptoportici di Piazza Tani, dal Mercato e dalle splendide ville disposte tutte intorno alla città (vedi Tav. n°6-7), determinando un eccezionale effetto scenografico in perfetta sintonia con le tendenze architettoniche dell’epoca che esaltavano la spettacolarità, la magnificenza, la sontuosità.
Villa Adriana fu costruita tra il 118 e il 138 d.C. per incarico dell’imperatore Adriano di ritorno dai suoi viaggi in Oriente e rappresenta l’esempio eccezionale di un impianto architettonico organico ed armonioso, dove l’estro e la fantasia si sono serviti dei mezzi più arditi dell’edilizia romana per realizzare absidi, volte e rischiose articolazioni.
Nel IV° sec. d.C. ebbe inizio il declino di Roma, ma anche per Tivoli, guerre e pestilenze causarono una flessione demografica ed un tale decadimento urbanistico, causato anche dall’abbandono delle costruzioni, tanto che furono ripristinate le fortificazioni del I° sec. a.C. (vedi Tav. n°8).
Emerge il Cristianesimo.
Testimonianze di questo periodo si possono individuare nella Cattedrale di S. Lorenzo, nella Basilica di S. Sinforosa e nei resti di alcuni complessi paleocristiani rinvenuti lungo la via Tiburtina Valeria.
Nel 715 con lo scisma tra oriente ed occidente viene sancito il potere della Chiesa.
Da questo momento Tivoli tentò di destreggiarsi abilmente tra il potere religioso e quello dell’impero e, nel contempo, seppe difendersi anche dalle devastazioni e distruzioni provocate dai vandali mantenendo la propria autonomia.
Le campagne si spopolarono, vennero interrotti ponti ed acquedotti, le ville del contado si organizzarono a presidi, molti nobili consegnarono i propri beni alla Chiesa Romana perché li difendesse, tutti si ripararono dentro le mura.
Si insediarono nel territorio una grande quantità di conventi e strutture monastiche, centri di attività religiosa, agricola, artigianale ed assistenziale. In particolare col pontificato di Gregorio II°, la città ebbe il suo primo vescovo (vedi Tav. n°9).
Crebbero anche le opere difensive; affiancate o inglobate nelle mura sorsero torri di avvistamento e di difesa, la città divenne un buon rifugio anche grazie alla presenza interna degli opifici e all’approvvigionamento dalle campagne.
Tra il X° e XI° sec. d.C. ci fu una ripresa, le campagne si ripopolarono, si avviò un fenomeno di incremento demografico ed edilizio: una espansione in corrispondenza di Via del Colle, di Via Maggiore, di Colsereno, si delinea Via del Trevio. Tutto il tessuto già urbanizzato in epoca romana fu rioccupato fino ai bastioni del III° sec.d.C.
In un documento del 978 vennero riportati i confini delle quattro regioni in cui Tivoli fu suddivisa: Castrovetere, fortificata e separata dalla città con un fossato; Plazzula, zona del Riserraglio; Foro, che comprendeva l’Episcopato, la Chiesa di S. Alessandro, le mole ad acqua e l’attuale canale della Forma; Formello, a sud circondata dalle mura e a nord da un asse di notevole importanza che da Via della Scalinata, proseguendo in rettilineo, separava due regioni e collegava il centro alla "Valle Gaudente" mettendo in diretto contatto la città a sud-est con quella a sud-ovest (vedi Tav n°10).
Col XII° sec. d.C., in particolare dal 1155 anno che fa riferimento al giuramento a Federico Barbarossa, si amplia la cinta a sud e sud-ovest, vengono inclusi i borghi fuori dalle mura fino a Porta S. Croce, l’Anfiteatro romano, una Rocca quadrata (preesistente a Rocca Pia), Porta S. Giovanni fino a Piazza Rivarola, i monasteri benedettini di S. Maria Maggiore e di S. Clemente e tutte le aree occupate dalle antiche ville romane (vedi Tav. n°11).
Col pontificato di Alessandro IV° (1259) viene sancita la dipendenza politica di Tivoli dal Senato Romano e, ancora una volta, con la solita abilità seppe gestire una propria autonomia sia amministrativa che giudiziaria.
Tra il XII° ed il XIV° sec. d.C. nuove istituzioni cominciano a dominare la città. Il nucleo della vita civile, comunale e religioso, fino ad ora situato nell’area di Piazza del Duomo, si trasferisce tra Piazza delle Erbe e Piazza Palatina nell’edificio di proprietà Curti che diventa il Palazzo Comunale o Palazzo Arengario che, con la Torre e la Chiesa di S. Michele, costituirà il centro direzionale della città.
L’incremento demografico determinò una ripresa dell’edilizia che andò a recuperare l’intera area urbanizzata in epoca romana. Le nuove costruzioni si sovrapposero agli antichi edifici modificando i primi tracciati romani ma furono mantenuti gli allineamenti dei principali assi stradali di Via del Colle, Via del Duomo e Via di Postera.
La produzione edilizia medioevale originò maglie urbane irregolari, complesse ma sempre amalgamanti un insieme unitario. La segretezza dei vicoli, le interruzioni di percorso, la sorpresa delle improvvise aperture, i giochi tra masse compatte, elementi verticali e piazze, gli scorci prospettici, propri dei canoni di questa cultura, appartengono anche a Tivoli.
Particolare attenzione fu dedicata al rifacimento, generalmente in stile romanico, e alla costruzione di edifici religiosi generosamente arricchiti di decorazioni, sempre affiancati dal campanile, parte integrante, elemento emergente, simbolo del potere divino, posizionato in modo da partecipare ad un sistema di assi ideali di riferimento tutti collegati e convergenti verso la Cattedrale. Intorno ad essi si svilupparono delle "insule" o rioni autosufficienti che comprendevano il mercato, la sorgente d’acqua, edifici commerciali e istituzionali. Si formarono anche quartieri organizzati secondo interessi comuni: agricolo, artigianale, commerciale o clericale. E’ da evidenziare, in questo periodo, la fioritura di istituti ospedalieri, spesso localizzati in prossimità delle porte di accesso ma anche sparsi per la città, sostenuti da ordini religiosi a favore dei cittadini e dei viandanti.
E’ del 1303 un documento in cui venivano definite chiaramente le quattro contrade della città: Castrovetre e S. Paolo le più antiche; S. Croce e il Trevio le più recenti. Permangono gli assi: Via del Colle - Via S. Valerio, Via del Duomo – Via Missoni, Via Palatina, Via dei Sosii, Via Postera – Via Campitelli – Via della Missione, mentre si consolidano Vicolo Marzi - Via della Scalinata – Via S. Paolo, Vicolo del Duomo – Via Platone Tiburtino e Via del Tempio d’Ercole, Via del Seminario e Via Teobaldi.
Sorsero anche nuove torri, con funzione di difesa e di avvistamento, localizzate lungo le mura o affiancate alle porte di accesso delle principali vie di comunicazione, ma anche in posizione isolata, erano generalmente munite di fenditure.
Si evidenziò una nuova tipologia edilizia : la casa torre. Disseminate nell’area sud-sud ovest, nord e a nord-est tra il Riserraglio e l’area di Via S. Valerio, erano emergenze urbane, strategicamente dislocate, di proprietà dei "Nobilissimi viri" con funzione pubblica rappresentativa ma anche di difesa.
Quasi sempre a pianta quadrata o rettangolare, sguarnite di vani porta, presentavano piccole finestre, ad una massima altezza dal piano stradale, circoscritte da architravi marmorei "di recupero", archi di scarico in laterizi ad unica campata e alla sommità un’altana aperta su tutti i lati. Talora erano associate e all’interno comunicanti fra loro, o integrate ad altri poli di potere con funzione di raccordo spaziale nei confronti della piazza.
I campanili, le torri e le case torri appartengono specificamente alla cultura medioevale della "verticalizzazione" in contrapposizione ed equilibrio al tessuto accorpato e minuto della maglia urbana. L’edilizia minore era costituita dalle case a schiera, cellule rettangolari di circa 4.50 per 6.00, con lato minore adiacente alla strada, affiancate e talora in aggregazione ternaria, composte da un piano terra ad uso magazzino, un primo piano ad abitazione ed un soppalco, il tetto a due spioventi. L’accesso era in muratura mentre le finestre sul fronte erano generalmente ad arco a tutto sesto. Decorazioni aggettanti con archetti di ispirazione romanica decoravano il prospetto. Questa tipologia traeva origine, anzi, spesso poggiava sulla produzione delle "insulae" e delle "tabernae" romane e divenne la trama caratteristica della produzione edilizia dall’XI sec. d. C.
All’inizio del XV° sec d.C. tra liti intestine e competizioni fra le casate nobiliari, la peste del 1420, il terremoto del 1456 ed il Sacco di Roma del 1527 la città, prostrata, subì un considerevole spopolamento. Nel 1461 il pontefice Pio II° incaricò la costruzione della Rocca Pia ( di forma quadrata con quattro torrioni quadrati), furono emanate anche leggi per favorire l’inurbamento e fu emesso un nuovo Statuto Tiburtino (1522) per la sostituzione dei rettori titolati con prelati e cardinali.
Ippolito D’Este viene nominato governatore di Tivoli che viene separata dallo Stato della Santa Sede recuperando la propria autonomia.
Il centro urbano si trasferisce a S. Croce e a Via della Missione, il Palazzo Municipale si sposta da Piazza delle Erbe e Piazza Palatina alla chiesa di S. M. Maggiore e la città si espande verso ovest, Via del Colle si amplia con nuove costruzioni fino quasi alla Porta del Colle, Via Maggiore, Via Colsereno, Via della Missione e Via S. Croce, la cui porta divenne l’ingresso principale della città, si pregiarono di palazzi, Via dell’Inversata assumeva ruolo di strada interna, mentre le aree comprese fra queste strade si presentavano, ancora, come spazi verdi. Nel frattempo le famiglie nobiliari consolidarono il loro potere: sorsero numerosi palazzi monumentali tra cui i palazzo Piccolomini, Mancini–Torlonia, Cenci-Alberici, Rognoni – Macera, Pacifici, Orsini, Visconti – Macera e Marzi.
Assenti interventi rappresentativi di piazze rinascimentali quali nodi consistenti di riferimento urbano e celebrazione del potere.
Quest’ultimo compito, tuttavia, fu completamente demandato ad un’opera eccezionale e di grande prestigio.
Nel 1550 il Cardinale D’Este incarica Pirro Ligorio della costruzione di Villa d’Este affiancandolo a molti altri artisti tra cui Giacomo della Porta, Zuccari, Agresti, fino a G.L.Bernini.
La villa posizionata su dei terrazzamenti rivolti ad est verso la vallata, è impostata su due assi ortogonali, nord-sud e est-ovest. Per la sua realizzazione fu occupata tutta l’area, fuori dalle mura, detta "Valle Gaudente", furono eseguite diverse demolizioni di preesistenze storiche, fu nettamente troncata una parte del tessuto medioevale, scomparve una scalinata, alcuni locali conventuali furono adattatati a palazzo, fu scavata una galleria attraverso l’altura per captare le acque dell’Aniene e tutto questo causò grande scontento poiché l’intervento modificò radicalmente anche l’andamento naturale dei luoghi.
Il risultato tuttavia fu eccellente.
Perfetto esemplare di villa cinquecentesca nella sua composizione unitaria, è stata progettata affrontando la presenza di dislivelli consistenti abilmente risolti con percorsi scenografici accolti da scorci panoramici inaspettati. Sale adorne di affreschi stucchi e dorature, giardini e fontane, boschetti e ninfei, grotte e giochi d’acque all’unisono creano una fusione tra immagini e suoni. E’ la peculiarità dell’urbanistica del Rinascimento creare singole composizioni per stupire e meravigliare.
A questo periodo di splendore seguì una fase di stasi e la struttura urbana incominciò a delinearsi secondo l’attuale conformazione. La Via del Colle perse di pregnanza per lasciare il posto a Via del Trevio, Via della Missione, Via Missoni, Via Maggiore (oggi Via Giuliani) e Via dell’Inversata cosicchè i rioni andarono a corrispondere all’attuale S.Paolo, Castrovetere, S.Croce e Trevio.
Alla fine del ‘500 si verificò un processo di grave decadimento sia politico – amministrativo che economico tanto che nel 1592 la Sacra Congregazione del Concilio definì lo stato della città di Tivoli: "miserando".
Nel Seicento tutta la città è ancora contenuta entro le mura del Barbarossa.
Nel territorio si stabiliscono definitivamente i limiti delle contrade mentre gli abitanti si dislocano secondo le diverse attitudini: l’aristocrazia dal rione S. Paolo si trasferisce a Via Palatina, a Via del Trevio e Via Maggiore; gli addetti agli opifici ed i coltivatori a Via S. Valerio e Via del Colle; gli artigiani a Via dell’Inversata, a Colsereno e a Porta S. Giovanni.
Pochi gli interventi volti a modificare il tessuto preesistente: si completano le aree intorno a Via del Trevio, cominciano a svilupparsi le zone a sud e ad ovest, si pensa al restauro di alcuni edifici, alla sistemazione di collegi e di scuole e alla costruzione dell’Ospedale a Porta S. Giovanni.
Tra il XVIII° ed il XIX° sec., per lo più, si pensa all’edilizia scolastica ed in particolare al restauro di complessi conventuali e di chiese, come il Seminario e il Duomo, alla sistemazione di collegi e di scuole, all’ampliamento dell’Ospedale a Porta S. Giovanni, alla costruzione della Cattedreale di S. MicheleChiesa del Gesù, distrutta nel 1944 durante l’ultima guerra. (1635-1640) e alla
Furono realizzati anche edifici degni di nota quali i palazzi Reali-Ciaccia, Lolli-Bellini, Zacconi, Coccanari-Teobaldi, Sabbi, Marzi, Bischi, Boschi, Croce, Bandini-Piccolomini, Cenci-Bolognetti. (c.f.r. nota 3)
Nonostante le carestie e le epidemie, un certo fermento generale produsse una intensificazione di scambi tra le aree commerciali e quelle a connotazione industriale ed agricola tanto da determinare consistenti modifiche alle caratteristiche socio-economiche.
Alla presenza di opifici e di coltivazioni si affiancano cartiere, lanifici e fonderie di rame. I nuovi insediamenti industriali e l’immigrazione di lavoratori attirati da nuove possibilità, andarono ad alterare i tradizionali rapporti della città col territorio.
Il paesaggio di Tivoli fu stravolto dal drastico impatto ambientale causato sia dalla presenza di ingombranti manufatti a ridosso del quartiere medioevale, sia dalla creazione della "Via degli Stabilimenti", sia dall’inquinamento delle acque e dal deturpamento delle aree boschive e, non ultimo, dall’abbandono dei rioni del centro storico occupati in seguito dalle classi più povere e dall’espansione di nuovi quartieri oltre Via del Trevio che divenne l’asse di confine con l’area storica.
L’Ottocento vede l’immagine della città subire un’ulteriore lesione.
Il 16 Novembre 1826 l’Aniene straripò travolgendo un terzo del rione Castrovetere. (vedi Tav. n. 14)
Originariamente la conformazione orografica regalava una splendida conformazione della natura: il fiume lambendo i margini di una folta e rigogliosa vegetazione, scorreva quieto e sontuoso sopra ad un alveo comodo e generoso, probabilmente, fin quasi sotto lo sguardo dei templi romani dell’Acropoli, e qui, con brusca virata, strozzato nella morsa, precipitava in una cascata impetuosa, sprofondando nella Valle dell’Inferno.
Immagine inquietante e suggestiva tale da suscitare quel brivido che ispirò letterati, filosofi ed artisti già dai tempi antichi di Orazio e Virgilio.
Il salto nella gola dell’Inferno.
Era l’emozione di fronte al bello e spettacolare, all’orrido e spaventoso, al "fascinans et tremendum".
Era il timore e la meraviglia di fronte all’ignoto.
Splendide immagini della natura che suscitano e smuovono un vissuto collettivo di una potenza sconcertante.
Difatti, la conformazione geologica, le sedimentazioni di calcare tenero, la presenza di caverne e condotti naturali sotterranei sommati agli eventi meteorici rendevano instabile il livello delle acque causando piene che procuravano devastazioni al territorio e danni e sciagure alla popolazione.
Di fronte al susseguirsi dell’evento, già dai tempi antichi (105 d.C.) si era tentato di porre riparo alla questione con la creazione di una serie di diverticoli sotterranei che, aperti a monte per alleggerire la massa d’acqua e quindi la sua pressione in prossimità della cascata, fuoriuscivano, poi, a valle.
Nel 1576 anche Ippolito d’Este prese la decisione di costruire un canale che andasse ad alimentare le fontane di Villa d’Este sottraendo, così, volume d’acqua al fiume, ma risultò insufficiente.
Si cercarono diverse soluzioni rivolte all’eliminazione del problema sia per la difesa della città che per il controllo e l’uso proficuo delle acque fino a che il pontefice Gregorio XVI incaricò Clemente Folchi di provvedere a delle modifiche decisive.
L’intervento essenziale e risolutivo fu la deviazione del fiume mediante due gallerie scavane sotto il monte Catillo. Si procedette, anche, alla sistemazione di Piazza Rivarola, al prolungamento della Via S. Valerio verso est sulla Tiburtina, alla costruzione del Ponte Gregoriano, e alla realizzazione della Villa Gregoriana.
Costruita nel 1834 sui resti della sontuosa villa, di epoca romana, di Manlio Vopisco, fu impostata sui terrazzamenti della sponda destra del fiume rivolti verso la Valle dell’Inferno ed articolata in una composizione equilibrata tra la fitta vegetazione e le cascatelle provenienti dai cunicoli nella roccia. (vedi Tav. n. 15)
La fine dell’ottocento vede il predominio dell’uomo sulla natura.
Nel 1879 viene inaugurata la Tranvia Roma-Tivoli (sostituita nel 1932 con la linea dell’A.T.A.C.) e nel 1884 il tronco ferroviario Tivoli –Mandela e la nuova stazione. Nello stesso anno fu elaborato il primo P.R.G. , non applicato.
Nel 1886, per la prima volta in Italia, nella città di Tivoli viene usata l’energia elettrica; grazie allo sfruttamento delle risorse idroelettriche si illuminano tutte le vie e le piazze della città.
Nel frattempo, inizia un progressivo abbandono delle aree agricole e boschive, mentre crescono le fabbriche, le cave per la lavorazione del marmo, le cartiere e gli stabilimenti tipografici. Emerge la volontà di attribuire ad un centro essenzialmente residenziale, artigianale ed agricolo una funzione direzionale e commerciale.
Gli eventi bellici completarono la devastazione del tessuto con bombardamenti su Via del Trevio, Via Garibaldi, la zona medioevale ed il Ponte Gregoriano.
La ricostruzione non fu meno deturpante grazie a sventramenti, risanamenti e pianificazioni inopportune. Alle forme spontanee ma omogenee del primo nucleo, alle espressioni rinascimentali e barocche si oppose drasticamente la nuova espansione.
Con la creazione degli assi di Via Trieste e Via Tomei viene definitivamente alterata la continuità con l’originaria maglia urbana, determinando gravi scissioni nel tessuto edilizio ed una vera e propria frattura nei confronti del centro storico.
L’uomo perde il filo con la propria storia.
Rimane il ricordo di una lontana ricerca di bellezza nei rivoli suggestivi e nelle cascatelle della Villa Gregoriana, lungo le vie fiancheggiate dagli splendidi palazzi barocchi e rinascimentali, tra i vicoli tortuosi delle severe torri medioevali e nei templi romani dell’Acropoli che guardano scorrere curiosi l’Aniene prosperoso.
Arch. Giuseppe Petrocchi
Arch. Elena Madussi
F. SCIARRETTA, Rinvenimenti nella Grotta Polesini, "Atti e Memorie Società Tiburtina di Storia e d’Arte " ( d’ora in avanti AMST ), Vol. XLII, 1969, p. 413 sgg..
C.F. GIULIANI, Tibur pars altera, " Forma Italiae" I, 3, Roma 1966.
F. SCIARRETTA, Aspetti di Tivoli in età classica, " AMST" Vol. XLIV, 1971, p. 7 sgg..
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C.F. GIULIANI, Un esempio di ingegneria idraulica, in La città e il suo fiume. L’Aniene a Tivoli, Tivoli 1991, p. 21sgg.
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AA.VV., Per un museo di Tivoli e della Valle dell’Aniene, Tivoli 1993
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